sabato 4 aprile 2009



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lunedì 29 settembre 2008

Fraseologia - italiano - polacco



















A
a cielo aperto ? pod gołym niebem
amore cieco ? miłość jest ślepa
andare a letto coi polli ? chodzić spać z kurami
andare a zonzo (wałęsać się)
anni magri ? chude lata
aqua cheta ? cicha woda
argento vivo ? żywe srebro
avere abbastanza di qualcosa ? mieć czegoś dość (mieć czegoś powyżej uszu)
avere abbastanza di qualcuno ? mieć kogoś dość (mieć kogoś powyżej uszu)
avere coscienza pulita ? mieć czyste sumienie
avere alti e bassi ? mieć wzloty i upadki
avere l'asso nella manica ? mieć asa w rękawie
avere la bottega aperta (mieć rozpięty rozporek)
avere la strada aperta ? mieć wolną drogę
avere la testa sulle spalle ? mieć głowę na karku
avere le mani pulite ? mieć czyste ręce
avere mano libera ? mieć wolną rękę
avere paura della propria ombra ? bać się własnego cienia
B
bruciare gli avversari (pokonać przeciwników)
bruciarsi le cervella ? palnąć sobie w łeb
bruciare sul vivo ? dotknąć do żywego
bruciarsi i ponti alle spalle ? palić za sobą mosty
buio pesto ? egipskie ciemności
C
cadere su un terreno fertile ? paść na urodzajną glebę, paść na podatny grunt
calma olimpica ? olimpijski spokój
capo di tutti capi (szef wszystkich szefów)
cartellino giallo ? żółta kartka
cartellino rosso ? czerwona kartka
chiaro come la luce del sole ? jasne jak słońce
cittŕ eterna ? wieczne miasto
con la mano sul cuore ? z ręką na sercu
conservare il sangue freddo ? zachować zimną krew
D
dall'a alla zeta ? od a do zet
dolce metŕ (lepsza połowa)
dono del cielo ? dar niebios
dormire della grossa ? spać jak suseł
dose da cavallo ? końska dawka
E
eroe del giorno ? bohater dnia
essere al settimo cielo ? być w siódmym niebie
essere come cane e gatto ? żyć jak pies z kotem
essere duro come un sasso ? być twardym jak kamień
essere solo come un cane ? być samemu jak palec (dosł.dosłownie być samemu jak pies)
F
fa un freddo cane ? pogoda pod psem
fare il portoghese (wejść na gapę, np. do kina)
fare il proprio comodo ? (robić coś według własnego uznania, jak komuś wygodnie)
fare promesse da marinaio (dawać obietnice bez pokrycia)
fare un buon viso a cattivo gioco ? robić dobrą minę do złej gry
farsi dei nemici ? narobić sobie wrogów
fatica di Sisifo ? Syzyfowa praca
filo di Arianna ? nić Ariadny
fino all'ultimo respiro ? do ostatniego tchu
fra Scilla e Cariddi ? między Scyllą a Charybdą
G
gettare via il bambino con l'acqua sporca ? wylać dziecko z kąpielą
giocare con il fuoco ? igrać z ogniem
giudizio salomonico ? salomonowy wyrok
goccia che fa traboccare il vaso (kropla, która przepełniła kielich)
goccia nel mare ? kropla w morzu
guardare di sottecchi (spoglądać ukradkiem)
guerra fredda ? zimna wojna
I
in bocca al lupo (powodzenia)
il canto del cigno ? łabędzi śpiew
il pomo vietato ? zakazany owoc
il re č nudo ? król jest nagi
il segreto di pulcinella ? tajemnica poliszynela
in capo al mondo ? na końcu świata
in una parola ? jednym słowem
L
la nuda veritŕ ? naga prawda
laborioso come una formica ? pracowity jak mrówka
lacrime di coccodrillo ? krokodyle łzy
lavoro da certosino ? benedyktyńska praca
M
magro come un stecco ? chudy jak szczapa
mettere a soqquadro (zrobić bałagan; przewrócić coś do góry nogami)
mettere alla berlina (wystawić na pośmiewisko)
mettere in mostra ? wystawiać na pokaz
mettere le mani avanti (uprzedzić nieprzyjemną sytuację, zapobiec czemuś)
mettersi le mani nei capelli ? rwać sobie włosy z głowy
mezzi draconiani ? drakońskie środki
mordersi la labbra ? ugryźć się w język
morire dal ridere ? umierać ze śmiechu
morire dalla curiositŕ ? umierać z ciekawości
morire di paura ? umierać ze strachu
morte bianca ? biała śmierć
N
nelle braccia di Morfeo ? w objęciach Morfeusza
nodo gordiano ? węzeł gordyjski
non credere ai propri occhi ? nie wierzyć własnym oczom
non dare segno di vita ? nie dawać znaku życia
non lasciare pietra su pietra ? nie zostawić kamienia na kamieniu
O
occhi d'Argo ? argusowe oczy
occhio per occhio, dente per dente ? oko za oko, ząb za ząb
P
parlare al vento ? rzucać słowa na wiatr
passare il Rubicone ? przekroczyć Rubikon
pecora nera ? czarna owca
pecorella smarrita ? zbłąkana owieczka
pezzo da museo ? okaz muzealny (osoba staromodna)
piangere lacrime di sangue ? płakać gorzkimi łzami
piangere su latte versato ? płakać nad rozlanym mlekiem
pietra filosofale ? kamień filozoficzny
pietra miliare ? kamień milowy
pigliarla per un altro verso (zrozumieć coś na opak)
pio desiderio ? pobożne życzenie
piů o meno ? mniej więcej
pomo d'Adamo ? jabłko Adama
pozzo senza fondo ? beczka bez dna
puntare tutto su una carta ? stawiać wszystko na jedną kartę
Q
qua e lŕ ? tu i ówdzie
quarto d'ora accademico ? kwadrans akademicki
qui si mangia da cani ? pieskie żarcie
R
rendere l'anima a Dio ? oddać duszę Bogu
risata omerica ? homeryczny śmiech
S
sale della terra ? sól ziemi
scoprire l'acqua calda (stwierdzić oczywistość)
scoprire l'America ? odkryć Amerykę
sentire odore di bruciato (czuć, że coś śmierdzi; coś jest podejrzane)
sesto senso ? szósty zmysł
senza respiro ? bez wytchnienia
sfrontare una porta aperta ? wywarzać otwarte drzwi
silenzio di tomba ? grobowe milczenie
sipario di ferro ? żelazna kurtyna
sotto chiave ? pod kluczem
spaccare il capello in quattro ? dzielić włos na czworo
spada di Damocle ? miecz Damoklesa
supplizio di Tantalo ? męki Tantala
T
tallone d'Achille ? pięta Achillesa
tempi d'oro ? złote czasy
U
uomo d'affari ? człowiek interesu
V
verdi anni ? zielone lata
vero angelo ? prawdziwy anioł
viaggio di nozze ? podróż poślubna
vincolo di sangue ? więzy krwi
vivere a sbafo (być darmozjadem, żyć na cudzy rachunek)
voce della coscienza ? głos sumienia
voce del cuore ? głos serca
voce del popolo ? głos ludu

Schiavi in America
















Cos’è la schiavitù?
Schiavitù - condizione di chi è schiavo, di una persona cioè completamente e involontariamente assoggettata a un’altra. Caratteristiche costitutive della schiavitù sono: la coercizione a svolgere un compito o a prestare un servizio; la riduzione di un essere umano a proprietà esclusiva di un altro essere umano, cioè del suo padrone; l’assoggettamento completo di un individuo alla volontà di colui che lo possiede.Il sistema sociale o l’ordinamento politico fondato sull’istituto sociale della schiavitù è detto schiavismo.


Cos’è il razzismo?
Il termine "razza", da cui deriva razzismo, è di incerta origine e fu introdotto nelle lingue europee intorno al XVI secolo; venne usato nel ,,Libro dei martiri’’ (1563) di John Fox per indicare la stirpe: nel caso specifico la "razza e il ceppo di Abramo". Dal XVI secolo in poi, per spiegare le differenze fra africani, cinesi ed europei, invece che al termine razze si ricorse alle genealogie dei diversi gruppi etnici descritte nell'Antico Testamento e, quando alla fine del XVII secolo si sviluppò il dibattito sulla moralità del commercio degli schiavi tra una sponda e l’altra dell’Atlantico, coloro che erano contrari alla schiavitù sottolinearono il fatto che i neri e i bianchi condividevano una comune umanità. Il termine razza tornò a essere impiegato in relazione alla relativa arretratezza tecnologica degli africani, che venne considerata frutto delle loro condizioni di vita malsane (dovute sia al clima sia alla mancanza di istituzioni politiche e sociali che ne promuovessero il progresso) e che furono alla base dei tentavi di legittimazione della discriminazione prima e dello schiavismo poi.Neppure il libro di Charles Darwin,, L’origine della specie’’ (1859), che documentò come lo sviluppo fosse prodotto dalla selezione naturale e che rivoluzionò in campo scientifico le teorie sulle differenze fra gli esseri umani, poté impedire un uso distorto del termine razza. Ispirò anzi una nuova forma di razzismo, il cosiddetto "razzismo scientifico", basato sull’idea che il pregiudizio razziale svolga addirittura una funzione evolutiva.La teoria sociologica del razzismo risale ai primi anni Venti di questo secolo quando alcuni psicologi cominciarono a sostenere, esibendo un’ampia documentazione, che il pregiudizio razziale non era una caratteristica ereditaria bensì una forma di comportamento appreso durante la socializzazione. Ogni società ha una propria cultura e, contestualmente, è soggetta a una serie di pregiudizi culturali: l’etnocentrismo è infatti la tendenza a compiere ragionamenti e formulare giudizi "come se la propria cultura e il proprio gruppo etnico fossero al centro del mondo". Rispetto al colore della pelle, gli individui possono ad esempio
condividere le preferenze del gruppo sociale in cui sono inseriti e quindi trattare con diffidenza coloro che non vi appartengono.


Cenni storici:
1619 - Prime importazioni di schiavi africani in America, nella Virginia.
1787 - La schiavitù viene resa illegale nel territorio nord occidentale. La costituzione statunitense stabilisce che il congresso non potrà bandire la tratta degli schiavi fino al 1808.
1793 - L’ invenzione di Eli Whitney, il COTTON GIN, aumenta la domanda di manodopera degli schiavi africani
1793 - viene proclamata la legge federale – FUGITIVE SLAVE LAW- che provede al ritorno degli schiavi scappati che avevano oltrepassato il confine degli Stati Uniti.
1800 - Gabriel Prosser, un schiavo afroamericano organizza una rivolta degli schiavi per marciare su Richmond, Virginia. La cospirazione viene scoperta e Prosser e un numero di ribelli vengono impiccati, in conseguenza le leggi schiaviste della Virginia vengono ulteriormente ristrette.
1808 - Il congresso abolisce l’importazione degli schiavi dell’ Africa.
1820 - The Missouri Compromise – abolisce la schiavitù negli stati del nord ,al di sopra della latitudine 36°30.
1822 - Denmark Vesey, un carpentiere afroamericano schiavizzato che aveva acquistato la propria libertà organizza una rivolta degli schiavi con l’intento di assediare la città di Charleston, South Carolina. Il complotto viene scoperto e Vesey e 34 cospiratori vengono impiccati.
1831 - Nat Turner, un predicatore nero schiavizzato conduce la più significativa sollevazione nella storia americana. Egli e la sua banda di seguaci lanciano una breve ,sanguinosa rivolta nella contea di Southampton , Virginia. L’esercito riesce a sedare la rivolta Turner viene a sua volta impiccato. Virginia restringe ulteriormente le leggi schiaviste.
1831 - William Lloyd Garrison inizia a pubblicare the Liberator, un foglio settimanale che invoca la completa abolizione della schiavitù. Egli divenne una delle più famose figure del movimento abolizionista.
1846 - The Wilmot Proviso, introdotto dal rappresentante democratico David Wilmot della Pennsylvania, tenta di bandire la schiavitù nei territori strappati nella guerra messicana. Il Proviso viene bloccato dai sudisti ma continua ad infiammare il dibattito sulla schiavitù.
1849 - Harriet Tubman – fugge dalla schiavitù e diventa uno dei leaders più efficaci e celebrati della Underground Railroad.
1850 - Il continuo dibattito se i territori vinti nella Mexican War dovessero essere aperti alla schiavitù viene deciso dal compromesso del 1850: La California viene considerata come uno stato libero .I territori dello Utah e del New Mexico sono lasciati alla sovranità popolare e la tratta degli schiavi in Washington viene proibita. Questo stabilisce anche una molto più ristretta legge federale sugli schiavi fuggitivi rispetto all’originale del 1793.
1852 - viene pubblicata la novella di Harriet Beecher Stowe ‘’Uncle Tom's Cabin,, quale diventa uno dei capolavori più significativi che hanno influenzato i sentimenti antischiavistici.
1854 – Congresso aprova the Kansas-Nebraska Act - l'apertura all'insediamento dei bianchi a Kansas e Nebraska. La legislazione abroga Missouri Compromise del 1820 e riprendono le tensioni pro- e antischiaviste
1857 - The Dred Scott case – la Corte Suprema aveva deciso che gli schiavi non erano cittadini degli Stati Uniti e che nessun nero avrebbe mai potuto diventarlo poiché erano "esseri di un ordine inferiore"..
1859 - John Brown un attivista e abolizionista catturò armeria federale di Harpers Ferry,nel tentativo di lanciare una rivolta schiavista.
1860 - Abramo Lincoln diviene presidente degli USA1861 - 1865 Guerra di secessione tra nord e sud.1863 - A.Lincoln abolisce la schiavitù nera con la Emancipation Proclamation.
1865 – Finisce la guerra civile e Lincoln viene assassinato. The Thirteenth Amendment della Costituzione abolisce la schiavitù in tutto territorio degli Stati Uniti.

1870 - Diritto di voto a tutti gli uomini senza distinzione di colore della pelle.

1880 - Negli stati del Sud si formano le norme che limitano la libertà dei neri; negli stati del Nord i neri vengono maggiormente inseriti nella società.
1896 –‘ Jim Crow System’ – la segregazione : separazione dei spazi riservati ai neri e ai bianchi1909 - Nasce la NAACP. (National Association for the Advancement of Colored People), per far attuare concretamente i diritti dei neri assicurati dalla legge federale.

1920 - Diritto di voto a tutte le donne senza distinzione di colore della pelle.

1942 - Nasce il CORE (Congress of Racial Equality) per la resistenza passiva e il boicottaggio delle imprese economiche segregazionistiche.

1945 - Subito dopo la seconda guerra mondiale nei soldati neri ,reduci della lotta contro il nazismo, nasce la consapevolezza delle ingiustizie subite in patria e il rifiuto nei confronti di ogni forma di segregazione o esclusione dai rapporti con la comunità.1946 - Arresto di Malcolm X , per rapina a mano armata e furto con scasso.

1952 - Malcolm X viene liberato sulla parola.

1954 - Nell’ambito della lotta per i diritti civili la Corte Suprema vieta la segregazione razziale nelle scuole e dichiara la dottrina delle razze uguali ma separate.

1955 - Martin Luther King organizza una protesta contro la segregazione razziale nelle scuole e il boicottaggio dei mezzi di trasporto.

1960-1970 - Il governo cerca inutilmente di migliorare le condizioni dei ghetti urbani dove vivono i neri poveri.

1961 - J.F. Kennedy diviene presidente degli USA: é vietata la segregazione nei mezzi pubblici.

1963 - Assassinio del presidente Kennedy. Malcolm X da’ vigore al Black Muslims (l'organizzazione dei musulmani neri).

1964 - Concessi uguali diritti civili ai neri.Iniziano numerose rivolte nelle maggiori città statunitensi.

1965 - Assassinio di Malcolm X.

1966 - Nasce il Black Power (potere nero)1968- Assassinio di Martin Luther King




Introduzione
La traumatica e lacerante catastrofe della deportazione in massa degli Africani, attraverso il commercio degli schiavi perpetuatosi per secoli, è sicuramente il punto di partenza cui far convergere ogni tentativo di analizzare l’ origine della schiavitù dei neri.
La tratta degli schiavi è un fenomeno le cui origini risalgono almeno al X secolo e che durò fino alla fine del XIX. Prima gli Arabi e poi anche gli Europei (soprattutto nel periodo della colonizzazione del Nuovo Mondo) utilizzarono schiavi provenienti dall'Africa subsahariana e occidentale deportati lungo rotte commerciali che attraversavano la stessa Africa, l' Oceano Indiano e l' Atlantico.
La forma più antica di commercio degli schiavi in Africa fu quella messa in atto dai popoli nordafricani a danno dei popoli neri subsahariani. Anche se le origini di questa pratica sono estremamente antiche, solo a partire dal X secolo, con l'introduzione dei cammelli dall' Arabia, essa assunse le connotazioni di una vera e propria rete commerciale.
Questo commercio, sebbene sia durato per molti più secoli, non raggiunse mai le proporzioni del traffico schiavista occidentale. In molti casi, i commercianti di schiavi arabi (e in seguito europei) non eseguivano direttamente le catture bensì intrattenevano rapporti con intermediari locali che erano spesso i regni o le tribù dominanti delle diverse zone. Questi intermediari, a loro volta, sfruttavano il loro rapporto con i mercanti di schiavi per ottenerne benefici (ad esempio armi) attraverso cui rafforzare la loro posizione di predominio nei confronti dei propri vicini.
Gli Africani erano talmente compromessi nel commercio con gli Europei che la drastica e inevitabile alternativa era di ridurre i propri simili in schiavitù o rischiare di essere fatti schiavi: era questa la molla segreta che muoveva il rapporto schiavistico con l’Europa e che spinse molti Africani a partecipare al commercio schiavista. I mercanti arabi ed europei non dovevano far altro che fomentare queste guerre armando a turno i vari gruppi etnici africani ed attendere l’esito dei conflitti che, comunque, era per loro sempre favorevole.
Nel XV secolo le potenze europee iniziarono a creare insediamenti nelle Americhe; l’obiettivo era di creare delle economie funzionali alla madrepatria. Era richiesta quindi una grande quantità di manodopera che però non fu trovata a sufficienza negli indigeni americani già decimati dai massacri e soprattutto dall’ invasione microbica esportata dagli Europei. La tratta degli schiavi attraverso l’Atlantico assunse rapidamente proporzioni senza precedenti, dando origine a vere e proprie economie basate sullo schiavismo che rafforzarono l’Europa in modo direttamente proporzionale all’indebolimento dell’Africa.
Le dimensioni del commercio di schiavi dall’Africa divennero presto impressionanti: si è calcolato che non meno di 40 milioni di uomini furono trasportati attraverso i canali dello schiavismo: la tratta Transahariana, quella Orientale e soprattutto quella Atlantica


La schiavitù in America.
Nei primi decenni del XVI secolo, all'indomani della scoperta dell'America, i sempre più numerosi conquistadores cristiani che ripercorsero dalla Spagna la via delle caravelle di Colombo, non ebbero grosse difficoltà ad impossessarsi delle coste americane e dei territori che, fino al loro arrivo, formavano gli imperi azteco e inca.Lo sfruttamento dei fertili terreni e delle ricche miniere d'oro e d'argento, dopo il sfruttamento delle ricchezze monumentali, fu subito praticato su larga scala. L'unico problema che si pose fu quello della manodopera: gli indios non reggevano alle fatiche del lavoro della terra così come era organizzato dai conquistatori europei, non riuscivano ad adeguarsi al lavoro forzato per l'estrazione
dei metalli, la loro mortalità era elevata e le fughe numerose. Fu così che, già nel 1502, Spagna e Portogallo si accordarono per una soluzione: gli egemoni neri dell'Africa vennero indotti a dirottare sulle navi portoghesi dirette in America il secolare traffico di schiavi che una volta si dirigeva verso il Mediterraneo. I neri, fisiologicamente più forti, si adattarono al duro lavoro e trovarono in America un ambiente che, nonostante la durezza del regime schiavistico, ne favorì la riproduzione. Nell'America colonizzata, quindi, venne a crearsi un vero e proprio sistema feudale in cui una classe relativamente ristretta di bianchi, entrata in possesso di diritti su terre e persone, dominava una massa di miseri e arretrati indios semiliberi e di schiavi neri e meticci.La presenza nera in America divenne sempre più numerosa. Nel Nord America i primi schiavi africani furono insediati a Jamestown, in Virginia, nel 1619 . L’ anno che costituisce un utile punto di partenza storico come data del primo massiccio trasferimento di uomini di colore nelle terre colonizzate visto che, fino a quel punto, i neri erano deportati per svolgere lavori occasionali finiti dopo i quali spesso venivano uccisi. Dopo il 1619 gli africani occidentali costituivano circa l'85% degli schiavi importati in America, ma non potevano certo considerarsi degli americani: erano costretti a svolgere i lavori più duri e non avevano, a livello umano, nessuna possibilità di comunicare con i loro padroni e con tutto il mondo bianco che li circondava. E' da questa situazione che il nero ha dovuto ricercare la sua dimensione in America, attraverso una alternanza di conquiste e delusioni che hanno caratterizzato la sua esistenza nel Nuovo Mondo. Inizialmente non si ritenne necessario procedere a una definizione giuridica del loro status, ma a partire dalla seconda metà del XVII secolo con lo sviluppo delle piantagioni nelle colonie del Sud il numero degli africani importati come schiavi agricoli crebbe enormemente e divenne un elemento fondamentale per l’economia e per il sistema sociale che doveva trovare una formalizzazione. Le leggi relative al loro status, legale politico e sociale, furono così definite già prima della guerra d'Indipendenza americana.Formalmente gli schiavi d’America godettero di alcuni diritti, come nel caso della proprietà privata. Si trattò tuttavia di diritti che il proprietario di schiavi non era obbligato a rispettare e comunque di casi isolati; in generale gli elementari diritti umani furono infatti costantemente violati: gli schiavi potevano ad esempio subire violenze sessuali da parte dei padroni, le famiglie potevano essere separate perché i loro membri venivano venduti a piantagioni diverse; i trattamenti brutali come mutilazioni e omicidi, in teoria proibiti per legge, rimasero abbastanza comuni fino al XIX secolo.
Dalla Rivoluzione Americana (scoppiata per liberarsi dalla tirannia inglese) al 1793, anno in cui fu inventata la famosa COTTON GIN - la macchina per separare le fibre di cotone dai semi, la manodopera nera divenne ancora piu essenziale però si sviluppò nello stesso tempo un’ opposizione alla schiavitù e al commercio degli schiavi, tanto che il 24 ottobre 1774 il Congresso Continentale stabilì che dal 1 dicembre di quell'anno gli schiavi non potessero essere né importati, né acquistati. Purtroppo ciò che aveva stabilito il Congresso Continentale fu solo parzialmente rispettato e la situazione generale non cambiò in maniera determinante. Nel 1775 si costituisce la prima associazione antischiavista e durante gli anni successivi gli Stati del Rhode Island, del Connecticut e della Pennsylvania approvano leggi tendenti alla progressiva abolizione della schiavitù. Dal 1793, con la nascita e il progressivo sviluppo del cosiddetto Regno del Cotone, gli schiavi neri furono impiegati essenzialmente per i lavori nei campi e la tendenza all'abolizione della schiavitù negli Stati del Sud subì una inversione di tendenza vista la crescente necessità di manodopera.
Ai primi dell'Ottocento la Nuova Inghilterra poteva ormai competere con i paesi europei nella produzione e nel commercio di cotone, ma i neri versavano ancora nelle stesse condizioni e furono anche utilizzati nelle piantagioni di canna da zucchero nella Louisiana. Ci si trovò, in definitiva, in una situazione paradossale: spesso venivano approvate in vari Stati leggi contro la schiavitù, ma raramente erano applicate e nel XIX secolo anche i neri teoricamente liberi del Nord (circa 225.000 nel 1860) erano sottoposti a notevoli limitazioni.


L'Ottocento, comunque, fu il secolo nel quale i neri cominciarono ad organizzarsi in maniera più competitiva per combattere l'oppressione, tanto che le rivolte degli schiavi andarono aumentando notevolmente, causando spesso perdite economiche e di vite umane tra i bianchi. Un momento importante per gli schiavi fu la Guerra Civile scoppiata nel 1861 che oppose il Sud agricolo dove proliferava la schiavitù al Nord industriale. La vittoria dei nordisti portò alla emancipazione dei neri del Nord che ebbero una parte considerevole in quel successo: circa 186.000 soldati di colore presero parte a 198 fra battaglie e scaramucce, subendo la perdita di 68.000 unità tra morti e feriti. Il 1 gennaio 1863, in qualità di comandante in capo dell'Esercito e della Marina, Lincoln (1809 - 1865) proclamò ufficialmente l'emancipazione degli schiavi e il 18 dicembre 1865 venne abolita la schiavitù in ogni parte degli Stati Uniti. Nonostante tutto, però, la popolazione di colore continuava in generale ad occupare una posizione marginale nel contesto sociale americano e per un nero era ancora molto difficile aspirare ad occupare un posto di rilievo nella società che, in una situazione di crescente industrializzazione, evitava di inserire i neri nelle fabbriche.Le precarie condizioni economiche e le intimidazioni, le violenze con le quali si impediva agli uomini di colore di votare, avevano provocato nel 1879 un esodo di neri dal Sud verso il Kansas e verso alcuni altri Stati, seguito da migrazioni negli anni successivi che non servirono, però, a trovare situazioni incoraggianti.


Ai primi del Novecento, quindi, la maggior parte dei contadini neri, a parte il bene prezioso della libertà, non erano nel Sud degli Stati Uniti in condizioni molto migliori di quelle in cui versavano ai tempi della schiavitù ed erano spesso sottoposti a veri e propri linciaggi. Dalla fine dell'Ottocento all'ingresso degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale due forze contrarie diedero forma alla vita nei neri. Una di queste forze, il consolidamento del fenomeno della privatizzazione dei diritti elettorali e della segregazione nel Sud, li spinse più in basso di quanto fossero mai stati; l'altra, la rivolta degli intellettuali neri appoggiati dai liberali del Nord, li trasse verso l'uguaglianza politica, culturale, economica e sociale. E' in questo contesto che si ci avvicina al primo conflitto mondiale nel quale il contributo nero all'esercito americano fu rilevante e al termine del quale una parte della popolazione di colore cominciò ad inserirsi con maggiore profitto nelle maglie della civiltà bianca ed un'altra, che viveva ancora tra mille stenti, iniziò a ribellarsi in modo sempre più pressante.


Le speranze nere subirono un altro duro colpo con la grande crisi del 1929 dovuta al crollo della Borsa che fece perdere il lavoro prima degli altri alla gente di colore la quale dovette tirare avanti grazie a miseri sussidi per la disoccupazione. Solo nel 1935 cominciarono ad essere di nuovo offerti posti di lavoro anche ai neri ormai americanizzati, ma nel periodo che porta agli anni Quaranta i neri del Sud ancora non pronto avevano trovato una dimensione soddisfacente in terra statunitense.Negli anni Quaranta l'espressione più attuale della tradizione musicale afro-americana era quella urbana, sviluppatasi nel contesto della vita dei neri nelle grandi città industriali. La figura del nero, intanto, era andata via modificandosi e, se la Prima Guerra Mondiale e la depressione avevano dato vita al nero moderno, il periodo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale provocò un cambiamento ancor più radicale nella sua psiche. Ad esempio, la partecipazione delle «Unità Negre» delle forze armate americane alla Seconda Guerra Mondiale fu molto più cospicua rispetto alla prima e, soprattutto, il loro ruolo fu decisamente più rilevante, tanto che, in molti casi, furono schierate al fianco delle unità bianche. Le cifre ufficiali della NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), a tal proposito, parlano chiaro: nella Prima Guerra Mondiale c'erano 404.348 soldati e 1.353 ufficiali neri, nell'ultima guerra i soldati furono circa 905.000 e gli ufficiali circa 8.000. Si evince da tali cifre che, se il numero dei soldati era poco più che raddoppiato, quello degli ufficiali era aumentato di quasi sei volte, a testimonianza della crescente presenza di gente di colore in posti di particolare responsabilità. I neri stavano sviluppando sempre più il senso di partecipare alla società, e ciò non riguardò solo la borghesia come dimostrato dalla quasi canonizzazione di Dorie Miller (uno dei primi neri morti in guerra a Pearl Harbor) che coinvolse quasi tutti i neri della nazione.
Il mondo al di fuori dell'America si rivelò al popolo nero proprio grazie alla Seconda Guerra Mondiale. Anche la musica non rimase insensibile all'evento e nacquero diversi blues sulla guerra interpretati da vecchi cantanti. Tra le comunità negre era molto popolare la canzone «Are you ready?» che esaltava l'eroismo dei neri in guerra e che, proprio nel titolo, contiene una espressione che cominciava ad essere sempre più usata tra i neri di quei tempi per significare «Sei pronto?» (ad entrare nell'America bianca), mentre l'espressione «non è pronto» acquisiva un significato spregiativo ed era adoperata da certe persone di colore autonominatisi guardiani delle convenzioni sociali bianche nei riguardi dei neri più volgari. Anche gli stipendi che i neri ottenevano lavorando nelle varie industrie belliche sparse nella nazione non erano da disprezzare e l'arsenale di New Jersey, in particolare, era considerato un luogo dove si poteva fare molto denaro.Ma la accresciuta conoscenza e consapevolezza da parte dei neri del contesto sociale in cui vivevano, finì per alimentare un risentimento sempre meno controllabile nei riguardi delle ingiustizie sociali che continuavano ad essere imposte. In particolare i giovani tornati dalla guerra, dopo aver messo a repentaglio la vita per la nazione, dovevano scoprire di essere ancora considerati appartenenti ad una specie subumana in una America che li tollerava solo finché rimanevano al loro posto. Erano riusciti a guadagnare di più nelle attività connesse al tempo di guerra, ma al termine della stessa erano tornati nei ghetti della grandi città statunitensi.Il malcontento e la rabbia sfociarono sempre più spesso in episodi di violenza razziale e, ripetendo un fenomeno già avvenuto durante e dopo la Prima Guerra Mondiale, rivolte sanguinose scoppiarono in tutti gli Stati Uniti. La più rilevante fu, probabilmente, la rivolta di Harlem avvenuta nel 1943, durante la quale i neri ruppero vetrine e finestre delle proprietà bianche della zona e minacciarono i poliziotti. Altre rivolte, come quella di Cicero (un sobborgo di Chicago), trassero origine dalla volontà di alcuni neri di acquistare delle case col loro denaro.Intanto, come trent'anni prima, si verificarono grandi migrazioni verso il Nord, provocando analoghe rivolte a Detroit e Newark. Sorsero movimenti sociali che sfociarono nella formazione di organizzazioni per combattere le disuguaglianze come ai tempi della Prima Guerra Mondiale. Una delle più efficaci fu, nel 1941, il movimento March-on-Washington, i cui componenti minacciarono di marciare sulla capitale in caso di mancata inclusione nel Programma per la Difesa, provocando la firma da parte del presidente Franklin D. Roosevelt (1933-1945) dell'ordine esecutivo che avrebbe dovuto impedire ai fornitori del governo di praticare la discriminazione. Lo stesso comitato che aveva dato vita al movimento March-on-Washington riuscì ad ottenere, successivamente, l'istituzione del Fair Employment Practices Committee, organo incaricato di garantire eque assunzioni.


L'aumentato tenore di vita dell'americano nero in quegli anni è testimoniato anche dalla maggiore percentuale dei neri che terminavano gli studi nelle scuole superiori e che riuscivano ad accedere al college, anche per merito delle provvidenze sull'istruzione contemplate dal «G.I.Bill», la legge per l'esercito. Nel Sud, per esempio, «nell'anno 1933-34, solo il 19% dei bambini neri in età da frequentare le scuole superiori le frequentava» , mentre solo sei anni dopo, nel 1940, la percentuale era salita al 35% (sempre nel Sud). In definitiva, negli anni della grande guerra e nel periodo immediatamente successivo si realizzarono nuovi attacchi all'ingiustizia sociale ed economica legalizzata. Il periodo di caos economico verificatosi durante la depressione degli anni Trenta era stato durissimo per i neri i quali, impegnati nella lotta per la sopravvivenza, avevano momentaneamente smarrito parte del loro slancio contro le ingiustizie sociali. Ma, attorno al 1945, la rabbia, la voglia di far valere i propri diritti, rafforzate dalla consapevolezza di essere diventati comunque determinanti nella vita americana, tornarono a farsi sentire, denunciando quel senso di oppressione che aveva ormai raggiunto livelli di irreversibilità.Nell'immediato dopoguerra uno dei problemi più scottanti negli Stati Uniti è quello della segregazione razziale. Bianchi e neri sono divisi in ogni attività quotidiana della società civile: si acquista in supermercati e negozi diversi, si mangia in ristoranti separati, si soggiorna in hotel distinti, le scuole sono diverse: bianchi e neri sono diversi, pertanto non possono stare insieme o, se stanno insieme, i neri devono comunque essere riverenti, portare rispetto ai bianchi e seguire certe regole. Uno degli attacchi più significativi sferrato a questo status quo parte dal sistema educativo: nella speranza che scuole per bianchi e per neri non vengano unificate, gli stati del sud, dove il problema è più sentito, investono, negli anni '50, somme ingenti per migliorare il livello di istruzione dei neri. Tali iniziative non servono comunque allo scopo prefissato, in quanto il movimento contro la segregazione nelle scuole parte da Washington per allargarsi poi a tutta la nazione. La decisione emanata dalla Corte Suprema il 17 maggio 1954 nel caso Brown contro il Ministero dell'Istruzione resta una delle sentenze più significative del XX secolo; in quell'occasione viene dichiarato: " ...nulla è più importante per la nostra democrazia della decisione unanime della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America che la segregazione razziale viola lo spirito della nostra costituzione." Nonostante ciò molti degli stati del Sud perseverano nella pratica della segregazione razziale: pareva che il sistema avesse comunque il sopravvento. Ma un altro evento, non meno significativo, avviene il 1 dicembre 1955 quando la signora Rosa Parks di Montgomery, Alabama, si rifiuta di cedere il posto da lei occupato, su di un autobus extraurbano, ad un uomo bianco. Rosa Parks viene arrestata e accusata di aver violato una delle ordinanze sulla segregazione della città. In risposta a tale evento, un allora sconosciuto Martin Luther King organizza un boicottaggio pacifico delle autolinee di Montgomery, per protestare contro la segregazione razziale. La comunità di colore di Montgomery non prenderà gli autobus per spostarsi quotidianamente per ben 381 giorni. M.L.King viene arrestato in quell'occasione insieme ad altre 90 persone di colore con l'accusa di aver intralciato un servizio pubblico, King ricorre in appello e vince. Il 4 giugno 1956, una corte distrettuale degli Stati Uniti d'America emana la sentenza che la segregazione razziale sugli autobus di linea urbana è anticostituzionale. La resistenza pacifica del reverendo M.L.King e della comunità di Montgomery non solo aveva causato l'emanazione di quella sentenza, ma aveva anche dimostrato che il boicottaggio era un valido ed efficace strumento di lotta.


Tuttavia, il non osteggiare una situazione di ingiustizia razziale diventa sempre più difficile in correlazione con la partecipazione degli Stati Uniti d'America -in realtà principali promotori- alla creazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, è particolarmente imbarazzante obiettare alle ingiustizie razziali di paesi di altri continenti, mentre, proprio negli Stati Uniti, si negano palesemente gli stessi diritti ai concittadini di colore. Ma non è questo l'unico motivo che pare accelerare il processo di desegregazione : a partire dal 1957 alcuni degli stati africani raggiungono l'indipendenza e ciò influenza notevolmente la gente di colore degli Stati Uniti che si identificano con le popolazioni africane e vivono con orgoglio questo mutato scenario politico a dimostrazione del fatto che la gente di colore è in grado di assumersi responsabilità ad alto livello. Intorno agli anni'60 l'esigenza di far riconoscere i diritti civili di tutta la popolazione, senza discriminazioni, si fa sempre più sentita. Proprio in questi anni sia i partiti politici che le istituzioni religiose si battono in favore di tali principi, lentamente si modifica anche l'atteggiamento che i bianchi hanno contro la partecipazione dei cittadini di colore ad alcune attività in settori rilevanti della società. Così, in questi anni, aumenta la percentuale di professori universitari di colore, di stimati avvocati e giudici, di atleti famosi, di artisti e scrittori. La linea di pensiero del reverendo Martin Luther King Junior arriva ormai ovunque ed è molto sentita e condivisa in tutta la nazione, il suo credo nel valore e nell'efficacia della resistenza passiva come forma di protesta sociale, spinge alla ribellione la maggior parte della popolazione di colore. Nel 1960 a Greensboro, nella Carolina del nord, quattro studenti entrano in un supermercatino dove, dopo aver acquistato alcuni articoli, chiedono un caffé al banco, naturalmente la risposta è un netto rifiuto, come di consuetudine, ma loro se ne stanno lì, seduti, fino alla chiusura del negozio; nasce così il sit-in che diviene una forma efficace di protesta contro la segregazione e la discriminazione, basti pensare che immediatamente dopo questo avvenimento la tattica del sit-in viene adottata in ben 15 città di 5 stati del sud. Il movimento verso l'emancipazione della popolazione di colore viene sostenuto dal Presidente allora in carica, John Fitzgerald Kennedy, il quale, nell'aprile del '63, chiede al Congresso di emanare leggi che garantiscano ai cittadini uguale accesso ai servizi e alle strutture pubbliche e private, che non sia permessa la discriminazione nelle assunzioni da parte di imprese e istituzioni federali, e che il governo federale non fornisca alcun sostegno finanziario in programmi o attività che riguardino la discriminazione razziale. Il messaggio del 19 giugno 1963 del presidente Kennedy alla nazione non ha solo un valore storico ma è una pietra miliare nel cammino degli Stati Uniti verso l'uguaglianza. Nel 1964, ad un anno dalla sua morte, il Civil Rights Act diviene legge. Nell'aprile '63, M.L.King organizza una marcia di protesta di 40 giorni nella quale vengono arrestate più di 2500 persone di colore; le manifestazioni si moltiplicano su tutto il territorio degli Stati Uniti, a sud come a nord, ed hanno anche il risultato di attirare l'attenzione sui musulmani di colore (Black Muslims, Nation of Islam) i quali si dichiarano convinti che gli Stati Uniti non concederanno mai l'uguaglianza alla popolazione di colore, pertanto rifiutano ogni tipo di collaborazione dedicandosi allo sviluppo della loro cultura ed istituzioni. Il 28 agosto del '63 vi è una marcia memorabile su Washington contro la discriminazione razziale alla quale partecipano tutte le maggiori associazioni di colore e non , studenti universitari, cittadini qualunque, star del cinema e della canzone, ministri; in quell'occasione ogni attività viene sospesa. L'America guarda l'avvenimento alla televisione, ma tutto il mondo ne viene a conoscenza tramite quotidiani e riviste. Coloro che marciano a Washington vogliono sottolineare che credono fermamente nelle istituzioni democratiche e nella capacità del potere legislativo di far rispettare la giustizia, ma vogliono anche enfatizzare quanto sia importante la promulgazione del Civil Rights Act. Quando il Presidente Kennedy viene assassinato il 22 novembre 1963 molti leaders del movimento nero temono che il cammino verso l'uguaglianza e la giustizia subirà un fase di arresto. Nonostante questo fervore di giustizia e uguaglianza che percorre tutta la nazione restano dei notevoli impedimenti in tutti gli stati e a tutti i livelli al processo di desegregazione, tutto procede a passi molto lenti, dal settore dell'educazione a quello dell'occupazione, fino al gesto banale e quotidiano di bersi un caffé. Il tutto è reso più aspro e difficile dal fatto che, in maggiore misura dei bianchi, i neri vivono in estrema povertà; in una società dove l'abbondanza e il lusso imperano, i neri non trovano lavoro, diversamente dai loro coetanei bianchi. Buona parte della popolazione nera riceve sussidi sociali e vive nei ghetti in condizioni inumane, dove spesso l'unica attività possibile è la criminalità. Sebbene la violenza sia limitata e sia da considerarsi marginale, tuttavia persistono avvenimenti drammatici come assassinii e attentati non solo contro neri, ma anche a danno di quei bianchi che hanno fatta loro la lotta alla discriminazione. Organizzazioni quali il Ku Klux Klan o i meno noti White Citizens Councils (Comitati di cittadini bianchi) esistono e sono ancora attivi. Negli anni '60 il movimento di protesta dei neri si sviluppa a tal punto che Martin Luther King ne rappresenta solo una voce, sebbene predominante, rispetto ad altre. I Black Muslims, un movimento sorto negli anni'30 ad opera di Wallace Fard, sostengono di essere originariamente figli dell'Islam e di avere come loro Dio Allah: se in nome di questa religione i neri americani si uniranno e svolgeranno un ruolo attivo in essa, riusciranno ad acquisire nuovamente il potere perso. I Black Muslims, convinti che la causa principale della discriminazione sia da imputare alla mancanza di potere economico da parte dei neri, cercano di favorire qualsiasi attività in proprio. Nel '64 Malcolm X è il leader più significativo del movimento ed il primo a parlare apertamente di Rivoluzione Nera. Lo stesso anno egli si stacca dal movimento per fondarne uno collaterale denominato Organization of Afro-American Unity (Organizzazione dell'unità afroamericana), neppure un anno dopo verrà assassinato. Sebbene Malcolm X abbia avuto una personalità e abbia professato un credo politico e religioso totalmente diverso da M.L.King, egli resta una figura di spicco del movimento nero, anche grazie alla sua autobiografia che ha notevolmente contribuito a renderlo famoso dopo la sua morte.
La delusione nelle istituzioni dei bianchi e nella lotta eterna alla discriminazione, spinge i musulmani neri a credere che la strada verso l'eguaglianza sia definitivamente sbarrata per loro; da qui nascono gli atteggiamenti di sfida agli Stati Uniti e alle loro istituzioni. Nasce così, nel 1966, con Stokely Carmichael, il Black Power (Potere Nero). Nella sua accezione più positiva il Potere Nero vuole promuovere l'autodeterminazione, il rispetto di sè e la piena partecipazione alle decisioni riguardanti i neri, Carmichael sostiene che solo il raggiungimento di questi ideali può obbligare i bianchi a trattare con i neri. In realtà questi gruppi associativi, così come la Rivoluzione Nera, sono dei movimenti nazionalisti che originariamente non inneggiano al rovesciamento del sistema politico, economico e sociale, ma che in seguito ne saranno coinvolti. Il più noto e diffuso di questi è il Black Panther Party, fondato nel '66 a Oakland, California, da Bobby Seale e Huey P.Newton. La denominazione per esteso del partito, Black Panther Party for Self-Defense, sta ad indicarne la funzione primaria: porre fine alle crudeltà della polizia bianca tramite la organizzazione di gruppi armati di autodifesa all'interno delle comunità nere. Il tutto risulterà in una guerriglia serrata con le forze dell'ordine.
Anni 1966-1968 vedono molte ribellioni violente causate dalle condizioni di vita nei ghetti: i neri vogliono un lavoro, case decenti e scuole migliori . Martin Luther King viene assassinato a Memphis il 4 aprile 1968, la sua scomparsa non è solo un evento storico drammatico e deprecabile che sembra indicare la fine di una ribellione non-violenta, ma mostrò, come nel caso dell'assassinio di J.F.Kennedy e del senatore Robert Kennedy, allora candidato alla presidenza, a quanto gli uomini potevano giungere per impedire che si realizassero quegli ideali di giustizia ed uguaglianza fondamentali per una società democratica. In quegli stessi anni l' indagine Kerner, finanziata dal governo, rivela che il paese si sta dirigendo sempre di più verso due società distinte, separate e diseguali: quella dei bianchi e quella dei neri. I Black Muslims e il Black Power non vogliono l'integrazione pacifica, ma la distinzione netta, i neri non hanno trovato una valida alternativa alla violenza come mezzo per raggiungere dei giusti ideali e il senso di frustrazione che ne è derivato li conduce all'ostilità nei confronti delle istituzioni e del governo. Il processo di desegregazione tuttavia procede incessantemente e con risultati positivi. Nell'arco di 20 anni (dal '50 al '70) molte cose sono cambiate per la gente di colore, il Civil Rights Act ha stabilito dei punti di riferimento inamovibili per la lotta all'uguaglianza e alle pari opportunità.

Smog in Italia


Città italiane sempre più inquinate, caotiche, insostenibili. E' quanto emerge da "Ecosistema urbano 2008", la ricerca realizzata da Legambiente e dall'Istituto di ricerche Ambiente Italia. Sotto la lente di ingrandimento sono finite diverse città e 103 capoluoghi di Provincia. L'analisi ha preso in considerazione 27 diversi parametri, dalla qualità dell'aria alla raccolta differenziata dei rifiuti.
Metà dei centri urbani presenta livelli di inquinamento allarmanti, il trasporto pubblico urbano è sottoutilizzato e la raccolta differenziata dei rifiuti solo al Nord ha raggiunto standard accettabili. "Il bilancio - secondo Roberto Della Seta, presidente nazionale dell'associazione ambientalista - non è buono. Solo qua e là ci sono sprazzi di buone politiche, ma generalmente le azioni più virtuosi restano fatti isolati". Della Seta ha lanciato così un appello agli amministratori, chiedendo uno sforzo maggiore affinché le politiche urbane diano "centralità alla qualità dell'ambiente".


La classifica
Le grandi città occupano il centro della classifica sulla eco-salute o la parte bassa. A Belluno, in Veneto, il primo posto, seguono Bergamo e Mantova. Quarta Livorno, quinta Perugia e sesta Siena. In fondo le città del Meridione, con Ragusa (scesa all'ultima posizione), Benevento e Frosinone, che diventano i centri urbani più insostenibili. Roma (55esima) batte Milano (58esima), migliorando di cinque posizioni rispetto allo scorso anno. A premiarla è la zona a traffico limitato più grande d'Italia e tra le più estese d'Europa. Torino resta indietro, al 74esimo posto, mentre Napoli crolla al 91esimo posto, perdendo 24 posizioni.
Nessun capoluogo di provincia è comunque detentore di una qualità al 100%. Secondo lo studio, realizzato in collaborazione con il Sole 24 ore, per essere davvero il "migliore", un capoluogo ideale dovrebbe incrociare, oltre alle performance di Bergamo (45,61mq/ab di zone a traffico limitato), Lucca (45,28 mq per abitante di verde urbano), Novara (66,9% di raccolta differenziata) e Isernia (con 16 mg/mc di media annuale per il pm10), anche le isole pedonali di Venezia (4,68 mq/ab) e il suo tasso di motorizzazione (42 auto circolanti ogni 100 abitanti), le piste ciclabili di Mantova (28,66 metri ogni 100 abitanti), la media annuale di biossido di azoto di Potenza (9,0 mg/mc), la scarsa dispersione della rete idrica di Viterbo (4%).
Per la spazzatura è ancora emergenza con 618 chili buttati da ogni italiano nel cassonetto e solo 120 recuperati e riciclati. Critico anche il fronte dello smog: in 40 centri urbani le polveri sottili superano i livelli di allarme per la salute. Il tasto più dolente resta quindi quello della mobilità. La densità di automobili delle città italiane non ha pari in Europa.

Shiavi in Puglia - Italia

Associazione Amici di Lazzaro – www.amicidilazzaro.it - info@amicidilazzaro.it - 340 4817498 Centro Studi Amici di Lazzaro – Materiali e ricerche 1 Il Terzo Mondo in provincia di Foggia. Vite da schiavi nei campi della capitanata.

IO SCHIAVO IN PUGLIA

Fabrizio Gatti, inviato del settimanale "L'espresso", è' un giornalista d'inchiesta. Lo scorso anno fingendosi straniero immigrato in Italia senza permesso di soggiorno si lasciò recludere in un campo di concentramento per immigrati. Ecco il reportage di denuncia apparso su "L'espresso".
Fabrizio Gatti (Giornalista)
Fonte: Espresso.repubblica.it
6 settembre 2006

Sfruttati. Sottopagati. Alloggiati in luridi tuguri. Massacrati di botte se protestano. Diario di una settimana nell'inferno. Tra i braccianti stranieri nella provincia di Foggia.
Il padrone ha la camicia bianca, i pantaloni neri e le scarpe impolverate. E' pugliese, ma parla pochissimo italiano. Per farsi capire chiede aiuto al suo guardaspalle, un maghrebino che gli garantisce l'ordine e la sicurezza nei campi. "Senti un pò cosa vuole questo: se cerca lavoro, digli che oggi siamo a posto", lo avverte in dialetto e se ne va su un fuoristrada. Il maghrebino parla un ottimo italiano. Non ha gradi sulla maglietta sudata. Ma si sente subito che lui qui è il caporale: "Sei rumeno?". Un mezzo sorriso lo convince. "Ti posso prendere, ma domani", promette, "ce l'hai un'amica?". "Un'amica?". "Mi devi portare una tua amica. Per il padrone. Se gliela porti, lui ti fa lavorare subito. Basta una ragazza qualunque". Il caporale indica una ventenne e il suo compagno, indaffarati alla cremagliera di un grosso trattore per la raccolta meccanizzata dei pomodori: "Quei due sono rumeni come te. Lei col padrone c'è stata". "Ma io sono solo". "Allora niente lavoro".

Non c'è limite alla vergogna nel triangolo degli schiavi. Il caporale vuole una ragazza da far violentare dal padrone. Questo è il prezzo della manodopera nel cuore della Puglia. Un triangolo senza legge che copre quasi tutta la provincia di Foggia. Da Cerignola a Candela e su, più a Nord, fin oltre San Severo. Nella regione progressista di Nichi Vendola. A mezz'ora dalle spiagge del Gargano. Nella terra di Giuseppe Di Vittorio, eroe delle lotte sindacali e storico segretario della Cgil. Lungo la via che porta i pellegrini al megasantuario di San Giovanni Rotondo. Una settimana da infiltrato tra gli schiavi è un viaggio al di là di ogni disumana previsione. Ma non ci sono alternative per guardare da vicino l'orrore che gli immigrati devono sopportare.
Sono almeno cinquemila. Forse settemila. Nessuno ha mai fatto un censimento preciso. Tutti stranieri. Tutti sfruttati in nero. Rumeni con e senza permesso di soggiorno. Bulgari. Polacchi. E africani. Da Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso, Uganda, Senegal, Sudan, Eritrea. Alcuni sono sbarcati da pochi giorni. Sono partiti dalla Libia e sono venuti qui perché sapevano che qui d'estate si trova lavoro. Inutile pattugliare le coste, se poi gli imprenditori se ne infischiano delle norme. Ma da queste parti se ne infischiano anche della Costituzione: articoli uno, due e tre. E della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Per proteggere i loro affari, agricoltori e proprietari terrieri hanno coltivato una rete di caporali spietati: italiani, arabi, europei dell'Est. Alloggiano i loro braccianti in tuguri pericolanti, dove nemmeno i cani randagi vanno più a dormire. Senza acqua, né luce, né igiene. Li fanno lavorare dalle sei del mattino alle dieci di sera. Qualcuno si è rivolto alla questura di Foggia. E ha scoperto la legge voluta da Umberto Bossi e Gianfranco Fini: è stato arrestato o espulso perché non in regola con i permessi di lavoro. Altri sono scappati. I caporali li hanno cercati tutta notte. Come nella caccia all'uomo raccontata da Alan Parker nel film "Mississippi burning". Qualcuno alla fine è stato raggiunto. Qualcun altro l'hanno ucciso. E li pagano, quando pagano, quindici, venti euro al giorno. Chi protesta viene zittito a colpi di spranga.
Adesso è la stagione dell'oro rosso: la raccolta dei pomodori. La provincia di Foggia è il serbatoio di quasi tutte le industrie della trasformazione di Salerno, Napoli e Caserta. I perini cresciuti qui diventano pelati in scatola. Diventano passata. E, i meno maturi, pomodori da insalata. Partono dal triangolo degli schiavi e finiscono nei piatti di tutta Italia e di mezza Europa. Poi ci sono i pomodori a grappolo per la pizza. Gli altri ortaggi, come melanzane e peperoni. Tra poco la vendemmia. Gli imprenditori fanno finta di non sapere. E a fine raccolto si mettono in coda per incassare le sovvenzioni da Bruxelles. "L'espresso" ha controllato decine di campi. Non ce n'e' uno in regola con la manodopera stagionale. Ma questa non è soltanto concorrenza sleale all'Unione Europea. Dentro questi orizzonti di ulivi e campagne vengono tollerati i peggiori crimini contro i diritti umani.Associazione Amici di Lazzaro – www.amicidilazzaro.it - info@amicidilazzaro.it - 340 4817498 Centro Studi Amici di Lazzaro – Materiali e ricerche 2
Non ci vuole molto per entrare nel mercato più sporco dell'Europa agricola. Qualche nome inventato da usare di volta in volta. Una fotocopia del decreto di respingimento rilasciato un anno fa a Lampedusa dal centro di detenzione per immigrati. E la bicicletta, per scappare il più lontano possibile in caso di pericolo. Il caporale che pretende una ragazza in sacrificio controlla la raccolta dei perini a Stornara. Uno dei primi campi a sinistra appena fuori paese, lungo il rettilineo di afa che porta a Stornarella. Meglio lasciar perdere. Per arrivare fin qui bisogna pedalare sulla statale 16 e poi infilarsi per dieci chilometri negli uliveti. Il borgo è una piccola isola di case nell'agro. Alla stazione di Foggia, Mahmoud, 35 anni, della Costa d'Avorio, aveva detto che quaggiù la raccolta, forse, è già cominciata. Lui, che dorme in una buca dalle parti di Lucera, è senza lavoro: lì a Nord i pomodori devono ancora maturare. Così Mahmoud campa vendendo informazioni agli ultimi arrivati in treno. In cambio di qualche moneta.
Oggi dev'essere la giornata più torrida dell'estate. Quarantadue gradi, annunciavano i titoli all'edicola della stazione. Sperduta nei campi appare nell'aria bollente una stalla abbandonata. E' abitata. Sono africani. Stanno riposando su un vecchio divano sotto un albero. Qualcuno parla tamashek, sono tuareg. Un saluto nella loro lingua aiuta con le presentazioni. La segregazione razziale è rigorosa in provincia di Foggia. I rumeni dormono con i rumeni. I bulgari con i bulgari. Gli africani con gli africani. E' così anche nel reclutamento. I caporali non tollerano eccezioni. Un bianco non ha scelta se vuole vedere come sono trattati i neri. Bisogna prendere un nome in prestito. Donald Woods, sudafricano. Come il leggendario giornalista che ha denunciato al mondo gli orrori dell'apartheid. "Se sei sudafricano resta pure", dice Asserid, 28 anni. E' partito da Tahoua in Niger nel settembre 2005. E' sbarcato a Lampedusa nel giugno 2006. Racconta che è in Puglia da cinque giorni. Dopo essere stato rinchiuso quaranta giorni nel centro di detenzione di Caltanissetta e alla fine rilasciato con un decreto di respingimento. Asserid ha attraversato il Sahara a piedi e su vecchi fuoristrada. Fino ad Al Zuwara, la città libica dei trafficanti e delle barche che salpano verso l'Italia. "In Libia tutti gli immigrati sanno che gli italiani reclutano stranieri per la raccolta dei pomodori. Ecco perché sono qui. Questa è solo una tappa. Non avevo alternative", ammette Asserid: "Ma spero di risparmiare presto qualche soldo e di arrivare a Parigi". Adama, 40 anni, tuareg nigerino di Agadez, ha fatto il percorso inverso. A Parigi è atterrato in aereo, con un visto da turista. Poi gli è andata male. Dalla Francia l'hanno espulso come lavoratore clandestino. Ed è sceso in Puglia, richiamato dalla stagione dell'oro rosso. "Questo è l'accampamento tuareg più a nord della storia", ride Adama. Ma c'è poco da ridere. L'acqua che tirano su dal pozzo con taniche riciclate non la possono bere. E' inquinata da liquami e diserbanti. Il gabinetto è uno sciame di mosche sopra una buca. Per dormire in due su materassi luridi buttati a terra, devono pagare al caporale cinquanta euro al mese a testa. Ed è già una tariffa scontata. Perché in altri tuguri i caporali trattengono dalla paga fino a cinque euro a notte. Da aggiungere a cinquanta centesimi o un euro per ogni ora lavorata. Più i cinque euro al giorno per il trasporto nei campi. Lo si vede subito quanto è facile il guadagno per il caporale. Alle due e mezzo del pomeriggio arriva con la sua Golf. E la carica all'inverosimile. "Davvero questo è africano?", chiede agli altri davanti all'unico bianco. Nessuno sa dare risposte sicure. "Io pago tre euro l'ora. Ti vanno bene? Se è così, sali", offre l'uomo, calzoncini, canottiera e sul bicipite il tatuaggio di una donna in bikini ritratta di schiena.
Si parte. In nove sulla Golf. Tre davanti. Cinque sul sedile dietro. E un ragazzo raggomitolato come un peluche sul pianale posteriore. Solo per questo trasporto di dieci minuti il caporale incasserà quaranta euro. I ragazzi lo chiamano Giovanni. Loro hanno già lavorato dalle 6 alle 12,30. La pausa di due ore non è una cortesia. Oggi faceva troppo caldo anche per i padroni perché rinunciassero a una siesta. Giovanni si presenta subito dopo, guardando attraverso lo specchietto retrovisore: "Io John e tu?". Poi avverte: "John è bravo se tu bravo. Ma se tu cattivo...". Non capisce l'inglese né il francese. E questo basta a far cadere il discorso. Amadou, 29 anni, nigerino di Filingue, rivela lo stato d'animo dei ragazzi: Quando risponde dice sempre: "Noi turchi". Anche se la targa della macchina è bulgara. E per il suo accento potrebbe essere russo oppure ucraino. "Ti giuro su Dio", continua il caporale, "oggi arrivano i soldi e vi paghiamo. Tu mi devi credere. Io lavoro come te a Stornara. Non prendo in giro i miei colleghi". Giovanni abita alla periferia. Un villino di mattoni sulla destra, a metà del rettilineo per Stornarella. Quasi di fronte a un'altra stalla pericolante senz'acqua, riempita di materassi e schiavi. Ma il pugnale da sub che tiene bene in vista sul cruscotto parla per lui."Giovanni, oggi è venerdì e non ci paghi da tre settimane. Ormai stiamo finendo le scorte di pasta. Da quindici giorni mangiamo solo pasta e pomodoro. I ragazzi sono sfiniti. Hanno bisogno di carne per lavorare". I tre euro l'ora promessi erano solo una bugia. Ma Giovanni promette ancora.
La Golf stracarica corre e sbanda sulla stretta provinciale per Lavello. Il contachilometri segna 100 all'ora. Una follia. Alle prime aziende agricole del paese, Giovanni svolta a destra dentro una strada sterrata. Altri due chilometri e si è arrivati. Si prosegue a piedi, in fila indiana. Il campo è tra due vigneti. Questi pomodori Associazione Amici di Lazzaro – www.amicidilazzaro.it - info@amicidilazzaro.it - 340 4817498 Centro Studi Amici di Lazzaro – Materiali e ricerche 3
vanno raccolti a mano. Quando il padrone vede arrivare il gruppo di africani, imita il verso delle scimmie. Poi dà gli ordini con gli insulti resi celebri dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli: "Forza bingo bongo". Nello stesso istante un furgone scarica nove rumeni. Tra loro tre ragazze, le uniche nella squadra. Si lavora a testa bassa. Guai ad alzare lo sguardo: "Che cazzo c'è da guardare? Giù e raccogli", urla il padrone avvicinandosi pericolosamente. Si chiama Leonardo, una trentina d'anni. E' pugliese. Indossa bermuda, canottiera e occhiali da sole alla moda come se fosse appena rientrato dalla spiaggia. Da come parla è il proprietario dell'azienda agricola. O forse è il figlio del proprietario. Si occupa della manodopera. Una sorta di comandante dei caporali. La sua azienda è a una decina di chilometri, alle porte di Stornara. Proprio sulla strada che Giovanni percorre per portare gli schiavi al campo. Leonardo si fa aiutare da un altro italiano, il caporale dei rumeni. Uno con la maglietta bianca, i capelli lunghi e i baffetti curati. Il terzo italiano è probabilmente il compratore del raccolto. Magro. Capelli biondi corti. Telefonino appeso al petto in fondo a una catena d'oro. Parla con un forte accento napoletano. Parcheggia il suo Suv e si fa subito sentire. Qualcuno ha appoggiato per sbaglio le cassette piene sulle piante di pomodoro. E lui grida come un pazzo: "Il primo che rimette una cassetta sulle piante, com'è vero Gesu' Cristo, gliela spacco sulla testa". I tre italiani sudano. Ma solo per il caldo. Oltre a sorvegliare i loro schiavi, non fanno assolutamente nulla.
Giovanni va a recapitare altri braccianti. Poi torna due volte con i rifornimenti d'acqua. Quattro bottiglie di plastica da un litro e mezzo da far bastare nelle gole di 17 persone assetate. Sono bottiglie riempite chissà dove. Una zampilla da un buco e arriva quasi vuota. L'acqua ha un cattivo odore. Ma almeno è fresca. Comunque non basta. Due sorsi d'acqua in oltre quattro ore di lavoro a quaranta gradi sotto il sole non dissetano. La maggior parte dei ragazzi africani non ha nemmeno pranzato né fatto colazione. Così ci si arrangia mangiando pomodori verdi di nascosto dai caporali. Anche se sono pieni di pesticidi e veleni. E forse è proprio per questo che sulla pelle, per giorni, non comparirà più nemmeno una puntura di zanzara.
Leonardo vuole sapere com'è che in Africa ci siano i bianchi. Gira tra le schiene curve come un professore tra i banchi. E dà il permesso a Mohamed, 28 anni, un ragazzo della Guinea. Per smettere di lavorare o parlare, qui bisogna sempre chiedere il permesso. Mohamed sa bene perché ci sono i bianchi in Sudafrica. E' laureato in scienze politiche e relazioni internazionali all'Università di Algeri. Parla italiano, inglese, francese e arabo. E risponde rimanendo in ginocchio, davanti a quell'italiano che confessa senza pudore di non aver mai sentito parlare di Nelson Mandela. "Avete capito?", ripete dopo un pò Leonardo agli altri due italiani: "In Italia quelli chiari stanno al Nord mentre noi al Sud siamo scuri. In Africa invece al Sud sono bianchi e questi qua del Nord sono neri".
L'incidente accade all'improvviso. Michele è il più anziano tra i rumeni. Ha una sessantina d'anni, i capelli grigi. Sta caricando cassette piene sul rimorchio del trattore. Il legno è troppo sottile, è secco. E una cassetta si sfonda rovesciando dodici chili di pomodori. Michele non fa in tempo ad abbassarsi a raccoglierli. Leonardo, con la mano chiusa a pugno, lo colpisce. Una sventola sulla testa. "Stai attento, coglione", urla, "credi che noi stiamo ad aspettare mentre tu butti le cassette?". Michele forse chiede scusa. E' troppo stanco e offeso per parlare ad alta voce. "Scusa un cazzo", continua Leonardo, "devi stare più attento". Ci fermiamo tutti a guardare. Una ragazza si alza in piedi per protesta. Quello con l'accento napoletano accorre come una furia: "Giù, non è successo niente. Giù o stasera non si va a casa finché non si finisce". Come se questi ragazzi avessero una casa.
Michele ritorna a caricare il rimorchio aiutato da altri rumeni. Ma dopo mezz'ora è ancora seduto a terra. Si tiene la testa. Perde molto sangue dal naso. Un suo compagno di lavoro spreme un pomodoro maturo per bagnargli la fronte. Cosa ha fatto lo spiega a Leonardo l'uomo con i baffetti curati: "Ho dovuto spaccargli una pietra in mezzo agli occhi. Ho dovuto. Quello stronzo se l'è presa con me perché tu prima l'hai picchiato. E poi perché stasera non ci sono i soldi per pagarli. Ma che c'entro io? Lui ha raccolto una pietra e io gliel'ho tolta dalle mani. Tu pensa se un rumeno di merda mi deve minacciare". Leonardo sorride.
Si smette solo quando il sole va a nascondersi dietro i monti Dauni. Michele sta meglio. I rumeni si raccolgono intorno al loro caporale. Poi fa firmare il registro con le ore lavorate. Oggi si finisce prima del solito. Il perché lo racconta il caporale ad Amadou, in macchina durante il ritorno: "Ci sono in giro i carabinieri". Giovanni segnala un campo di pomodori lungo la strada: "Vedi qua? Questo pomeriggio i carabinieri sono venuti a prendere dei miei ragazzi. Io lavoro anche qui. Africani come te e rumeni. Li hanno portati via per il rimpatrio. Ma non avere paura, il campo dove lavorate voi", dice indicandosi le spalle come Giovanni scatta una foto ai suoi ragazzi. Serve per i pagamenti e per scoprire se qualcuno scappa dal gruppo.Associazione Amici di Lazzaro – www.amicidilazzaro.it - info@amicidilazzaro.it - 340 4817498 Centro Studi Amici di Lazzaro – Materiali e ricerche 4
se avesse i gradi, "è controllato dalla mafia". Succede spesso quando è giorno di paga. A volte sono gli stessi padroni a chiamare vigili, polizia o carabinieri e a segnalare gli immigrati nelle campagne. Basta una telefonata anonima. Così i caporali si tengono i loro soldi. E la prefettura aggiorna le statistiche con le nuove espulsioni.
Amadou però fa notare che nemmeno oggi i ragazzi verranno pagati: "Tu sei musulmano?", chiede Giovanni: "Sì? Allora io ti giuro su Allah che la prossima settimana vi pago tutti. E se avete bisogno di carne, ti giuro che vi invito tutti a casa mia. Ovviamente la prossima settimana. Quando potrete pagare la carne".
Il 14 maggio 1904 qua vicino la polizia attaccò una manifestazione di braccianti. C'era anche il giovane Giuseppe Di Vittorio. Morirono in quattro quel giorno. Tra le vittime Antonio Morra, 14 anni, amico d'infanzia del futuro leader sindacale. Adesso le proteste vengono spente prima che possano dilagare. I caporali agiscono come una polizia parallela. Gli imprenditori si rivolgono a loro se ci sono problemi. A cominciare dall'imposizione delle regole: "Domani mattina vengo a prendervi alle cinque", annuncia Giovanni dopo aver scaricato i suoi passeggeri. Sono quasi le dieci di sera ormai. Calcolando una doccia improvvisata con l'acqua del pozzo e la misera cena, restano appena cinque ore di sonno. I ragazzi africani spiegano subito le sanzioni. Chi si presenta tardi, una volta al campo viene punito a pugni. Chi non va a lavorare deve versare al caporale la multa. Anche se si ammala. Sono venti euro, praticamente un giorno di lavoro gratis.
Una cinquantina di chilometri più a nord, stesse storie. La carta stradale indica Villaggio Amendola. Era un borgo agricolo. Ora è solo un paese fantasma riempito da immigrati rumeni e bulgari ridotti in schiavitù. Come l'ex zuccherificio di Rignano o il Ghetto che la sera, al suono della township music, sembra Soweto. Al Villaggio Amendola perfino la chiesa abbandonata è stata riempita di materassi. Qui il cento per cento degli abitanti non è italiano. Tutti raccoglitori. E tutti stranieri. Tranne una. Giuseppina Lombardo, 51 anni. Viene dalla Calabria. Per gli agricoltori del posto è una santa donna. Lei e il suo amico tunisino che si fa chiamare Asis sono capaci di mettere insieme una squadra di raccoglitori di pomodori in meno di mezz'ora. Giuseppina e Asis con gli schiavi ci campano. L'unico pozzo di Villaggio Amendola è loro. L'acqua è inquinata ma la vendono ugualmente: cinquanta centesimi una tanica da 20 litri. Anche l'unico negozio del borgo è loro. Hanno bottiglie di minerale, se uno proprio non vuole perdere la giornata per la dissenteria. E hanno carne e pollame: "A prezzi maggiorati del cento per cento e di dubbia qualità", dicono gli abitanti. Non è facile infiltrarsi come immigrato in questo ghetto e vincere la paura dei suoi prigionieri. Perché Asis, come tutti i caporali, non perdona chi parla. Lui e la sua compagna qui sono l'unica legge. Chi c'era si ricorda bene cosa è successo la settimana di Pasqua del 2005. Quel pomeriggio un ragazzo rumeno, 22 anni, arrivato da appena quattro giorni, torna al Villaggio Amendola con i sacchetti della spesa. E' stato a Foggia e cammina davanti al negozio del caporale con quello che si è procurato. Una bottiglia d'olio, un po' di pasta. Il testimone che parla con "L'espresso" è convinto che Asis abbia considerato quel gesto una ribellione al suo controllo. I rumeni raccontano di aver visto poco dopo due uomini affrontare il nuovo arrivato. Uno, secondo i testimoni, è parente di Asis. Con una spranga lo centrano in mezzo alla testa. Un colpo solo. Poi trascinano il corpo sanguinante e semisvenuto su un furgone. Nessuno al villaggio rivedrà più quel ragazzo.
Lo stesso accade il 20 luglio di quest'anno. Il giorno prima Pavel, 39 anni, ha una discussione con Giuseppina Lombardo. Gli sono caduti quindici euro nel negozio e lei crede che glieli abbia rubati dalla cassa. Pavel in Romania faceva il cuoco per 150 euro al mese. Dal 20 marzo 2004, quando è arrivato in Puglia, sopporta violenze e angherie. Lo fa per mandare quanto risparmia alla moglie e alla sua "fata", la figlia studentessa, che ha 15 anni. Pavel ha braccia veloci. L'anno scorso è riuscito a riempire fino a 15 cassoni al giorno: 45 quintali di pomodori, lavorando dall'alba a notte. Con il cottimo a 3 euro a cassone, era una buona paga secondo lui: tolti il trasporto al campo e la tangente per il caporale, Pavel riusciva a guadagnare anche 25 o 30 euro al giorno. Ma il 20 luglio Asis gli impedisce di ripetere il record. Qualcuno gli ha riferito che Pavel ha protestato per la faccenda dei soldi e per lo sfruttamento dei braccianti. Il tunisino lo colpisce nel sonno, in una giornata senza lavoro, alle due del pomeriggio. Pavel si protegge la testa con le braccia. La sbarra di ferro gli rompe le ossa e apre profonde ferite nella carne.
Lui è sicuro di non essere stato ucciso soltanto per l'intervento dei suoi compagni di stanza. Ma lo lasciano lì a sanguinare sul materasso fino all'una di notte. Gli altri stranieri hanno troppa paura di Asis. Anche di chiamare la polizia e correre il rischio di essere rimpatriati. Alle otto di sera qualcuno finalmente telefona di nascosto all'ospedale. L'ambulanza e una pattuglia dei carabinieri, al Villaggio Amendola, arrivano soltanto cinque ore dopo. Così è andata, secondo la denuncia. Associazione Amici di Lazzaro – www.amicidilazzaro.it - info@amicidilazzaro.it - 340 4817498 Centro Studi Amici di Lazzaro – Materiali e ricerche 5
Il 31 luglio Pavel viene dimesso dall'ospedale di Foggia. E' stato operato da appena quattro giorni. Ha quasi due mesi di prognosi. Ferri e chiodi nelle ossa. Le braccia ingessate. Medici e infermieri lo consegnano alla polizia, violando il codice deontologico. E in questura lo trattano da clandestino. Anche se dal primo gennaio 2007 tutti i rumeni potrebbero essere cittadini dell'Unione europea. Con le braccia immobilizzate, Pavel non riesce a impugnare la penna. Il "Primo dirigente dottoressa Piera Romagnosi", siglando la notifica del decreto di espulsione, scrive che lui "si rifiuta di firmare". Anche la prefettura di Foggia va per le spicce: nel decreto di espulsione annota che Pavel è "sprovvisto di passaporto". Un'aggravante. Eppure Pavel il passaporto ce l'ha. Alla fine, non trovando alternative, un ispettore gli dona dieci euro. E una macchina della questura lo riporta al Villaggio Amendola. Lo scaricano davanti al negozio di Giuseppina e Asis. Il tunisino se ne occupa subito. Vuole dimostrare a tutti chi comanda. Minaccia Pavel e lui va a rifugiarsi in un casolare a un chilometro dal villaggio. Qualche connazionale gli porta in segreto un po' di pane e da bere. Dopo nove giorni di dolori e sofferenze un amico rumeno riesce a contattare un avvocato di Foggia, Nicola D'Altilia, ex poliziotto al Nord. L'avvocato trova il casolare. Incontra Pavel e lo riporta immediatamente in ospedale. Le ferite sono infette. Il bracciante rumeno è grave. Denutrito. Viene ricoverato per setticemia. Il resto è cronaca degli ultimi giorni. Il 21 agosto Pavel è di nuovo dimesso dall'ospedale. Va in questura a completare la denuncia contro il caporale tunisino e la sua complice italiana, che era riuscito a presentare al posto di polizia del pronto soccorso soltanto il 14 agosto. Lo accompagna l'avvocato che l'ha salvato. Ma dopo una giornata in questura, la Procura fa arrestare Pavel come immigrato clandestino: non ha rispettato il decreto di espulsione che, così è scritto, lo obbligava a lasciare l'Italia dall'aeroporto di Roma Fiumicino. Non importa se in quelle condizioni comunque non avrebbe potuto viaggiare. Lo costringono a dormire su una panca di legno nelle camere di sicurezza. Nonostante le operazioni, le ossa rotte e le ferite ancora fresche.
Il giorno dopo si apre il processo, immediatamente rinviato a ottobre. Oltre ad aver perso il lavoro, grazie alla legge Bossi-Fini Pavel rischia da uno a quattro anni di prigione. Più di quanto potrebbe prendersi il suo caporale che intanto resta libero. "Quell'uomo", racconta Pavel terrorizzato, "mirava alla testa. Voleva uccidermi".
Qualche bracciante morto da queste parti l'hanno già trovato. Slavomit R., polacco, aveva 44 anni quando è stato bruciato il 2 luglio 2005 in un campo a Stornara. Un caso irrisolto. Come quello di due cadaveri mai identificati abbandonati a Foggia. Le scomparse sono un altro capitolo dell'orrore. Nessuno sa quanti siano i lavoratori rumeni, bulgari o africani spariti. I caporali, quando li ingaggiano o li massacrano di botte, non sanno nemmeno come si chiamano. Gli unici casi sono stati scoperti grazie alle denunce dell'ambasciata di Polonia. Hanno dovuto insistere i diplomatici di Varsavia. E' dal 2005 che cercano notizie di tredici connazionali. Erano venuti a lavorare come stagionali nel triangolo degli schiavi. E non sono più tornati a casa. L'elenco compilato in agosto dal consolato sulle ricerche delle persone scomparse non rende onore all'Italia. Su dodici "richieste indirizzate alla questura di Foggia", l'ambasciata ha dovuto prendere atto che per nove casi non c'è stata "nessuna risposta da parte della questura". Dopo mesi di inutile attesa l'appello è stato girato al Comando generale dei carabinieri. E, attraverso gli investigatori del Ros, la Procura antimafia di Bari ha finalmente aperto un'inchiesta.
Nessuno sta invece indagando sulla morte di un bambino. Perché quello che è successo apparentemente non è reato. Il piccolo sarebbe nato a fine settembre. Liliana D., 20 anni, quasi all'ottavo mese di gravidanza, la settimana di ferragosto arranca con il suo pancione tra piante di pomodoro. La fanno lavorare in un campo vicino a San Severo. Né il marito, né il caporale, né il padrone italiano pensano a proteggerla dal sole e dalla fatica. Quando Liliana sta male, è troppo tardi. Ha un'emorragia. Resta due giorni senza cure nel rudere in cui abita. Gli schiavi della provincia di Foggia non hanno il medico di famiglia. Sabato 18 agosto, di pomeriggio, il marito la porta all'ospedale a San Severo. La ragazza rischia di morire. Viene ricoverata in rianimazione. Il bimbo lo fanno nascere con il taglio cesareo. Ma i medici già hanno sentito che il suo cuore non batte più. Anche lui vittima collaterale. Di questa corsa disumana che premia chi più taglia i costi di produzione.
L'industria alimentare campana paga i pomodori pugliesi da 4 a 5 centesimi al chilo. Sulle bancarelle lungo le strade di Foggia i perini salgono già a 60 centesimi al chilo. A Milano 1,20 euro quelli maturi da salsa e 2,80 euro al chilo quelli ancora dorati. Al supermercato la passata prodotta in Campania costa da 86 centesimi a 1,91 euro al chilo. I pelati da 1,04 a 3 euro al chilo. Eppure, nel ghetto di Stornara, nemmeno stasera che il mese e' quasi finito ci sono i soldi per comprare un pezzo di carne. "Donald, non te ne andare", si fa avanti Amadou, "Giovanni è molto arrabbiato con te perché hai lasciato il gruppo. Ti sta cercando, vado a dirgli che sei qui". Nel fondo di questa miseria, Amadou sa già con chi stare. Tra tanti uomini costretti a inginocchiarsi, lui ha scelto i caporali. E' il momento di prendere la bici e Associazione Amici di Lazzaro – www.amicidilazzaro.it - info@amicidilazzaro.it - 340 4817498 Centro Studi Amici di Lazzaro – Materiali e ricerche 6
scappare. Nel buio. Prima che Giovanni decida di chiamare i suoi sgherri. E di dare il via alla caccia nei campi.
Scheda: I medici accusano: arrivano sani e si ammalano qui. Vivono in condizioni disumane. Proprio in questi giorni decine di abitanti del Ghetto, tra Foggia e Rignano, si sono ammalati di gastroenterite per le pessime condizioni dell'acqua. Ma anche quest'anno, l'Asl Foggia 3 ha rifiutato di mettere a disposizione strutture e ricettari per assistere gli stranieri sfruttati come schiavi nei campi. La denuncia è dell'associazione francese "Medici senza frontiere" che invece ha ottenuto la collaborazione dell'Asl Foggia 2 per l'assistenza sanitaria e umanitaria nel sud della provincia. Da tre anni un ambulatorio mobile di Msf visita le campagne tra Cerignola e San Severo. Come se la provincia di Foggia fosse un fronte di guerra. Ci sono un medico, un'assistente sociale e un coordinatore: quest'anno Viviana Prussiani, Carla Manduca e Teo Di Piazza. "Per il terzo anno consecutivo siamo stati costretti a continuare questo progetto", spiega Andrea Accardi, responsabile delle missioni italiane di Msf: "E ancora una volta nell'estate 2006 ci troviamo di fronte alla stessa situazione: gli stranieri arrivano sani e si ammalano a causa delle indecenti condizioni che trovano nelle campagne. Manca qualsiasi forma di accoglienza. Il sistema economico è totalmente ipocrita e vede la connivenza e il coinvolgimento di tutti gli attori. A partire dal governo e dalle istituzioni locali, ovvero Comuni e prefetture, fino ad arrivare alle Asl, alle organizzazioni di produttori e ai sindacati". Nel 2005 Msf ha pubblicato il rapporto "I frutti dell'ipocrisia" sulle drammatiche condizioni degli immigrati sfruttati come schiavi non solo in Puglia. Perché, secondo il tipo di raccolto, situazioni simili si ripetono in Calabria, Campania, Basilicata e Sicilia. Le malattie più gravi sono state diagnosticate negli stranieri che vivono in Italia da più tempo, tra 18 e 24 mesi. Il 40 per cento dei lavoratori nell'agricoltura vive in edifici abbandonati. Oltre il 50 non dispone di acqua corrente. Il 30 non ha elettricità. Il 43,2 per cento non ha servizi igienici. Il 30 ha subito qualche forma di abuso, violenza o maltrattamento negli ultimi sei mesi. E nell'82,5 per cento dei casi l'aggressore era un italiano.
Scheda: Padroni senza legge
Dietro il triangolo degli schiavi ci sono gli imprenditori dell'agricoltura foggiana e molte industrie alimentari. Piccole o grandi aziende non fanno differenza. Quando devono assumere personale stagionale per la raccolta nei campi, quasi tutte scelgono la scorciatoia del caporalato. Il compenso per gli stranieri varia da 2,50 a 3 euro l'ora (ai quali però vanno tolti tutti i "servizi" per il caporale). Anche per questo gli italiani sono scomparsi da questo tipo di lavoro. Solo una piccola minoranza degli agricoltori interpellati da "L'espresso" dice di pagare i braccianti da 4 a 4,50 euro l'ora. Ma sempre in nero e rivolgendosi a caporali. In Veneto e in Friuli un raccoglitore guadagna in media 5,80 euro l'ora più i contributi, se in regola. Oppure da 6,20 a 7 euro l'ora se ingaggiato in nero. La legge prevede una retribuzione ordinaria di 35 euro al giorno. Per favorire le assunzioni regolari, il governo ha abbassato i contributi che gli imprenditori devono versare di circa il 75 per cento. Mentre il contributo dell'8,54% che il bracciante deve dare all'Inps è rimasto inalterato. I controlli sono inefficaci o inesistenti. Nell'ultimo anno in provincia di Foggia soltanto un imprenditore, a Orta Nova, è stato arrestato per sfruttamento dell'immigrazione clandestina.
Fabrizio Gatti

Vittorio Alfieri

VITTORIO ALFIERI (1749-1803)
Nasce ad Asti nel 1749 da una delle più nobili e ricche famiglie piemontesi. Perduto a un anno il padre, fu affidato alla tutela di uno zio, il quale si servì di un precettore-sacerdote per educarlo (nella satira L'educazione forse ne è ritratta l'immagine). Nel '58 fu posto in collegio (accademia militare di Torino) e vi rimase fino al '66. Qui veniva educata la gioventù nobile nelle scienze e negli esercizi cavallereschi, e in 9 anni si prendeva la laurea in legge. Ma i sistemi pedagogici erano senz'altro molto antiquati. Durante questi anni l'Alfieri, che conosceva perfettamente il francese (lingua della nobiltà piemontese), legge molti romanzi francesi e la Storia ecclesiastica del Fleury che contribuì notevolmente al suo scetticismo in materia di religione.
Morto lo zio tutore, l'Alfieri a 15 anni eredita il patrimonio di questi e del padre, divenendo ricchissimo. Appena poté uscire dall'accademia (ove aveva ottenuto la carica di porta-insegne nel reggimento provinciale d'Asti), si diede ai viaggi e alle dissolutezze (1766-72). In quegli anni percorse letteralmente tutta Europa, leggendo Montaigne, Montesquieu, Rousseau, Helvetius ecc., cioè quanto di meglio esprimeva la Francia di quel tempo. Il suo cosmopolitismo tuttavia non lasciò tracce profonde nella sua coscienza, se si esclude un particolare apprezzamento per la società inglese, di cui ammirava l'equilibrato governo costituzionale. I viaggi comunque gli servirono per maturare un atteggiamento critico verso il dispotismo illuminato (riformismo dall'alto) di Austria, Prussia e Russia (fu soprattutto il viaggio nella Prussia di Federico II e la visita a Zorendorff, campo di battaglia tra russi e prussiani, nel 1758, che lo portò a rifiutare con decisione ogni forma di militarismo e di bellicismo).
Tornato in patria, continua ancora per qualche anno questa vita, s'iscrive alla massoneria, legge con molto entusiasmo Plutarco, e nel corso di un'ultima avventura galante abbozza una tragedia, Cleopatra, e scrive una farsa autocritica, I poeti, che, rappresentate entrambe nel '75, riscuotono un certo successo. A partire da questo momento inizia la sua rigenerazione spirituale e culturale. Consapevole delle sue possibilità e del suo talento letterario, con decisa e ferma volontà, l'Alfieri si propone il compito di dare all'Italia ciò che ancora le mancava: la tragedia.
Per vincere la sua ignoranza e per liberarsi del suo francese va a vivere in Toscana (1776-81). A 46 anni s'immerge nello studio del latino e del greco. A Firenze si lega con la moglie di un ex-pretendente al trono d'Inghilterra, per la quale decide di non muoversi più dalla città. E, poiché le leggi piemontesi limitavano la libertà ai nobili possessori di terre, fuori dello Stato sabaudo, prende la decisione di donare tutti i suoi beni alla sorella, riservandosi in cambio un vitalizio annuale. Lo fece anche perché così non aveva più bisogno di chiedere al suo re ogni volta il consenso per uscire dallo Stato e l'approvazione per ogni nuova opera da pubblicare. E così cominciò a scrivere tragedie, rime, opere politiche. Nel '77 il trattato Della tirannide, nel '78 inizia quello Del principe e delle lettere. Fra il '75 e l'86 compone 19 Tragedie, fra cui Saul e Mirra, che sono le più importanti.
Dopo di che intraprende l'ultimo suo vagabondare per l'Europa (1783-92). A Parigi assiste con entusiasmo alla Rivoluzione francese e la esalta con l'ode Parigi sbastigliata. Ma resterà presto deluso dalle conseguenze radicali che presero gli avvenimenti, per cui se ne tornerà a Firenze. Nel '90 aveva cominciato la stesura autobiografica della Vita, accompagnata da un'ampia produzione lirica, le Rime. A Firenze (1792-1803) si chiude sempre più in un odio feroce contro i francesi, specie durante le due occupazioni napoleoniche del 1799 e 1800. Dall'89 al '97 compone 17 Satire, dal 1800 al 1802 le Commedie e infine il Misogallo, un violento libello contro la Francia. Muore in solitudine nel 1803.
IDEOLOGIA E POETICA
Il Settecento fu prodigo di tragedie. L'interesse per il genere era nato dall'influenza del teatro francese (Racine, Corneille), che era così forte da condizionare non solo la scelta degli argomenti (i sentimenti, l'amore ecc.) ma persino il metro con cui trattarli. I commediografi italiani si erano orientati, cercando di emulare i francesi, verso argomenti greco-latini, ebraici, orientali (come avveniva del resto per il melodramma). L'Alfieri non fece che porsi in questa corrente apportandovi un originale contributo (non però su quello formale, poiché qui si attenne al rispetto delle unità aristoteliche di luogo e tempo).
Dotato di un fortissimo senso della libertà e insofferente a ogni tirannide, sia pubblica che privata, egli infatti concepì il teatro come mezzo di educazione civile e politica e l'artista come "sacerdote dell'umanità". Convinto che la storia sia maestra di vita, portò sulla scena i grandi personaggi, quelli secondo lui più adatti a suscitare l'amore per la libertà e l'odio contro la tirannide: Saul, Mirra, Antigone, Agamennone, Oreste, Sofonisba, Filippo, Rosmunda, Maria Stuarda, ecc. Tutti personaggi che mostrano d'avere un'altissima umanità, ma che, in definitiva, risultano troppo perfetti per permettere allo spettatore una vera immedesimazione. Il pubblico applaudiva perché affascinato dai ritmi travolgenti delle passioni rappresentate, ma avvertiva chiaramente in esse qualcosa di inarrivabile, perché troppo straordinario.
Il limite dell'Alfieri sta in quel suo modo vitalistico e individualistico di affrontare lo scontro, allora molto forte, tra tiranno e oppresso. Il protagonista principale delle sue tragedie è sempre il singolo eroe che, con coraggio e abnegazione, cerca di opporsi alla tirannia del potente (re, principe o imperatore). Il suo ideale è la personalità di Bruto e il suo mondo preferito è quello degli eroi e tirannicidi descritto da Plutarco. In questo senso, il suo riferimento alla classicità non sta tanto nello stile letterario (ché anzi l'Alfieri è un innovatore), e neppure nel riconoscimento formale della superiorità dell'antica tradizione, quanto piuttosto nell'esigenza di ricercare modelli umani eroici da riproporre, in veste moderna, ai suoi contemporanei (questo a prescindere da una ricostruzione realistica degli ambienti in cui quei personaggi sono vissuti). Politicamente l'ideale dell'Alfieri, almeno sino alla delusione per gli esiti terroristici della Rivoluzione francese, resta quello della Repubblica romana pre-cesarea e dell'antica Grecia.
Ciò che più ha condizionato la concezione "anarcoide e antipoliticista" dell'Alfieri fu il fatto ch'egli, pur avendo rinunciato agli ideali aristocratici, non rinunciò mai allo stile di vita aristocratico (per molto tempo condusse una vita errabonda, frenetica, in parte dissoluta). In qualunque paese europeo andasse egli guardava la situazione politica con gli occhi dell'intellettuale isolato, e quella sociale con gli occhi dell'aristocratico che da parte delle masse popolari non spera in una decisa posizione antigovernativa. Quando infatti i suoi ideali giacobini-rivoluzionari si trovano realizzati nella Rivoluzione francese, la sua reazione negativa alla necessità della dittatura politica sarà immediata. Alfieri non era contro una particolare forma di governo, ma contro tutte, poiché là dove esisteva un "potere", per lui vi era anche ingiustizia e oppressione.
Egli non solo nega il facile ottimismo del secolo dei lumi, cioè l'idea di un progresso lineare in nome della razionalità, ma nega anche qualunque soluzione politica alle contraddizioni del suo tempo ("Ahi, null'altro che forza al mondo dura", dice).
Trattato Della Tirannide. Alfieri afferma che "base e molla" della tirannia è la paura (in polemica col Montesquieu che vi poneva invece l'onore). La tirannide da lui descritta non coincide con una forma particolare di governo (anche se il riferimento alla sua epoca è evidente), ma con un atteggiamento individuale di distruzione, che conduce all'annientamento dell'avversario e, in ultima istanza, anche di se stessi (come le tragedie mettono in luce).
La nobiltà (ambiziosa e amante del lusso), l'esercito (che col pretesto della difesa da un nemico esterno viene impiegato per reprimere il dissenso interno) e la religione (che educa all'obbedienza e impedisce la libertà di pensiero) sono, oltre alla paura, le armi del tiranno. Ma il tiranno è schiavo della paura non meno che il suddito, poiché, per restare sul trono, ha bisogno di esercitarla quotidianamente, temendo sempre d'essere rovesciato. (Si veda anche l'Esquisse du Jugement Universel).
Sugli oppressi il giudizio dell'Alfieri è pessimista. Chi è abituato alla sottomissione difficilmente riesce a liberarsene, anzi, arriva ad acquisire sentimenti di servilismo e di fatalismo. C'è solo una speranza secondo il poeta: che l'autoritarismo sia così duro e insopportabile da indurre il popolo a ribellarsi. Nel frattempo l'intellettuale (che secondo lui deve essere più poeta che filosofo) deve avere il coraggio di criticare il tiranno mediante le sue opere letterarie. Ma perché lo possa fare deve essere libero da problemi economici, ché altrimenti sarà costretto a compromettersi (come l'intellettuale "cortigiano"). Il tirannicidio quindi viene escluso solo fino a quando non è lo stesso popolo a insorgere. In casi estremamente sfavorevoli all'individuo Alfieri consiglia il suicidio.
19 Tragedie. La scelta del genere letterario tragico rispecchia psicologicamente l'esigenza individualistica del poeta-eroe. Le tragedie ruotano attorno a un personaggio principale; gli altri (sempre pochi) hanno una funzione accessoria. Il finale in genere è di due tipi: suicidio o tirannicidio. Gli argomenti sono presi dalla storia o dalla Bibbia, con predilezione per i soggetti greco-romani. L'azione si svolge in 5 atti. Il verso adoperato: endecasillabo sciolto, ma è trattato in maniera molto dura, nervosa, concisa. Alla base di ogni vicenda sta il fato, cioè una forza al di sopra dell'uomo, che lo costringe a reagire. I protagonisti, pur prigionieri delle loro passioni, proprio in questa lotta con il fato rivelano la loro forza, la loro carica emotiva. È assente ogni preoccupazione realistica. Non c'è sfondo teatrale che ambienti i personaggi, e neppure intreccio o azione. Il linguaggio non è colloquiale (come in Goldoni) ma oratorio, solenne. I dialoghi son quasi dei monologhi (si è sordi alle parole altrui). In questo Alfieri si allontana decisamente dall'Arcadia e dal melodico dramma metastasiano.
17 Satire. Qui l'Alfieri condanna: commercio borghese, clericalismo e anticlericalismo, re, nobili e militari, il popolo e i precettori.
6 Commedie. Qui condanna: monarchia assoluta (Dario) ne L'uno, oligarchia assoluta (Gracchi) ne I pochi, democrazia assoluta (Ateniesi) ne I troppi. Condanna i grandi uomini, perché nella vita privata sono incoerenti (La finestrina) e i matrimoni nobiliari per interesse (Il divorzio). Condivide: la monarchia costituzionale di tipo inglese o della vecchia Venezia (L'antidoto). Nel 1781-83 aveva scritto 5 Odi sull'America libera, esaltando l'indipendenza dal dominio coloniale inglese.
Alfieri ebbe una certa fortuna risorgimentale grazie al Foscolo: infatti i temi dell'inquietudine esistenziale, della ricerca di una identità storico-politica, di una patria ideale sono affini a quelli del Romanticismo italiano. Non per nulla venne considerato l'anti-Monti e l'anti-Metastasio per eccellenza. La sua visione antidogmatica della cultura, antigerarchica della politica e anticonformista del costume sociale lo rendono in un certo senso ancora attuale.